11 marzo 2007

L'Italia ci aiuti, c'è un asse del terrore

Intervista a Alejandro Peña Esclusa per Fabrizio Dell'Orefici

«La situazione in Sudamerica è come quella in Germania dopo il 1933, subito dopo l'ascesa al potere di Hitler. Il metodo del presidente del Venezuela è lo stesso: prendere il potere per via democratica e poi trasformarlo in dittatura».

Non usa mezzi termini Alejandro Peña Esclusa, leader di Fuerza Solidaria, il principale oppositore di Ugo Chavez, il presidente venezuelano che sogna di diventare il nuovo Fidel Castro. Pena Esclusa sta compiendo un tour per chiedere all'Europa di intervenire: prima Madrid, poi Roma e il Vaticano, quindi sarà a Bruxelles.

Presidente, che cosa sta accadendo in Sudamerica?

«La democrazia ormai è in pericolo. E Chavez ha ormai instaurato un vero e proprio modello che altri nell'area stanno copiando».

Chi altri? Sta pensando a Evo Morales, presidente della Bolivia?

«Sto pensando al modello totalitario che stanno instaurando anche Bolivia, Nicaragua, Ecuador. E in generale è il modello al quale si stanno ispirando tutte le forze politiche che si riconoscono nel Foro de Sao Paulo, di cui fanno parte anche le Farc colombiane, narcotrafficanti e guerriglieri».

In che cosa consiste questo modello? Che cosa c'è dietro questo nuovo comunismo?

«C'è un sistema totalitario. Sono tutte forze politiche che prendono il potere via elezioni. Poi costituiscono un'assemblea costituente e subito dopo questa assegna poteri speciali al presidente. Viene cambiata la costituzione, cambiano i presidenti dei tribunali e in maniera "dolce" si instaura una dittatura».

Dittatura?

«Sì, è il caso di chiamarla per quello che è. Sembra una democrazia ma è una dittatura. Chavez ha cambiato le regole elettorali eliminando di fatto il voto segreto. Chi va nell'urna scrive la sua preferenza e mette anche la sua impronta digitale. In pratica il governo sa perfettamente chi ha votato per chi».

E che cosa accade dopo?

«Chi ha un lavoro in un ufficio pubblico viene chiamato dal governo e gli viene detto: "Hai votato contro di noi? Considerati disoccupato". E lo stesso vale per le imprese private che hanno contratti con istituzioni pubbliche».

Ci sono anche limitazioni per i media?

«Le cito solo questo caso: il più importante e antico canale venezuelano, la Radio Caracas Television, ha deciso di raccontare la verità. Chavez in risposta ha annunciato che a maggio revocherà la concessione, sarà chiusa».

E per gli oppositori politici?

«Che devo dirle? Contro di me sono stati intentati dal governo tre processi per istigazione alla ribellione. E dopo questo intervista me la faranno pagare, ce ne sarà anche per lei. Non credo che le faranno mettere piede in Venezuela».

La Chiesa è intervenuta cercando di denunciare le limitazioni di libertà. Ci sono state ripercussioni?

«Chavez gioca a dividere la Chiesa. Dice che ci sono delle gerarchie corrotte e ricche e il popolo è povero. Si dice cattolico ma attacca costantemente i cattolici».

In questi giorni ha chiesto alla Chiesa di intervenire in maniera più forte?

«Sono soddisfatto degli incontri avuti in Vaticano, sono state giornate importanti».

Ma lei che cosa chiede all'Europa?

«Di non farsi ingannare. Chavez è come Hitler. L'Europa non volga lo sguardo altrove, la situazione è drammatica ma ancora recuperabile. L'Europa non faccia finta di non sapere e di non vedere».

Sta insistendo per un intervento dell'Unione europea?

«Sto prendendo un aereo per Bruxelles. Sì, spero che l'Ue si muova. Anche perché tutto il Sudamerica sta diventando pericoloso per i suoi rapporti con il terrorismo internazionale».

A che cosa si sta riferendo?

«Tra Chavez e Ajmenijad c'è più di un'intesa politica. Sono stati sottoscritti tre accordi. Ma quello che mi preoccupa di più è quello che sta accadendo negli ultimi mesi. In giro per Caracas si vedono moltitudini di persone mediorientali...».

Be', questo non vuol dire nulla.

«Mi ascolti, perché la questione è delicata. Che vi siano elementi Hezbollah e di Al Qaeda in Venezuela ormai è stato denunciato anche dagli organismi internazionali. Temo però non si tratti solo di presenza».

No? E che cos'altro sta accadendo?

«Gli iraniani hanno aperto diverse industrie in Venezuela. Una di biciclette».

E perché ha paura di una fabbrica di biciclette?

«Ecco, ho motivo di temere per dove si trova questa fabbrica: è stata aperta in una zona dove non c'è nulla attorno, solo foreste. Ma in compenso c'è tanto uranio proprio in quella zona. Insomma, penso che ce n'è abbastanza per preoccuparsi. L'asse Venezuela-Iran è a tutto campo, basti pensare che è stato persino inaugurato un volo aereo diretto Caracas-Teheran».

Ma lei che cosa si aspetta che faccia l'Italia?

«All'Italia rivolgo innanzitutto un appello. Gli italiani o coloro che sono di origine italiana in Venzuela sono due milioni. E sono quelli più colpiti perché costituiscono soprattutto la middle class, oppure occupano le fasce più alte, sono la classe sociale maggiormente colpita dalle nazionalizzazoni. Sono 72 i casi di rapimenti e attentati che hanno subìto gli italiani dall'arrivo di Chavez al potere».

E il governo Prodi che cosa può fare?

«Occorre un'iniziativa europea. Ma gli italiani stiano attenti perché Chavez è insidioso, sta "corteggiando" i sindaci delle città cedendo loro grosse partite di petrolio scontate al 20%. Ha fatto così con Ken Livingstone, primi cittadino di Londra, il quale adesso non perde occasione di propagandare l'azione di Chavez, l'effetto è stato enorme. E un accordo simile sta per essere raggiunto con Firenze. Chiedo al sindaco Domenici di lasciar perdere, certamente non lo sa: ma sta aiutando una dittatura».

Presidente, spera negli aiuti internazionali?

«Spero che la comunità internazionale ci aiuti. Ma i venezuelani devono fare soprattutto da soli. Tutto il Sudamerica deve fare da solo. Noi abbiamo un grande progetto di infrastrutture per far crescere il Paese. Quando saremo al governo lo realizzeremo».

Fuente: Il Tempo

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